Oro e argento in foglia
Di grande impatto in pasticceria e in cioccolateria, la foglia d’oro è da considerarsi una decorazione più che un ingrediente; anzi, tecnicamente, è un additivo alimentare conosciuto come E175. Meglio però lasciarsi affascinare dal suo effetto glamour e festoso piuttosto che dai codici dell’Unione Europea e immaginare l’oro sui nostri dessert, tranquillizzati dal fatto che si tratta di una materia inerte (non viene neppure digerita, se capite dove vogliamo arrivare) e neanche troppo costosa se si considera l’effetto “wow” che produce: circa 5€ a foglio da 86x86mm.
L’oro alimentare viene proposto con una caratura che va dai 22 ai 24 kt (più alta è meglio è) e viene venduto in sottilissimi fogli, in fiocchi o in polvere. Poiché la sua consistenza è impalpabile si attacca immediatamente a qualsiasi cosa tocchi: va quindi trasferito con accortezza, con una forchetta dai rebbi leggermente inumiditi; con il pennello apposito, largo e sottile, fatto con pelo di scoiattolo; o capovolgendolo direttamente sul cibo togliendo poi la velina che lo protegge.
La storica ditta fiorentina Giusto Manetti Battiloro, in attività dal 1820, lo produce in ogni formato, così come la FRM.
Ma non è tutto oro quello che luccica: l’argento alimentare si usa allo stesso modo ed è l’ideale per esaltare dessert dai colori contrastanti.
Un po’ di storia:
L’oro veniva usato in cucina già ai tempi dei faraoni a scopo votivo, in Asia (come riporta Marco Polo) per attirare l’attenzione degli dei, nel Giappone antico come decorazione in cibi e saké. Le civiltà precolombiane credevano che mangiare oro permettesse di lievitare in aria. In Europa, nel 1386, in occasione delle nozze della figlia Violante, Galeazzo Visconti deliziò i suoi ospiti offrendo loro storioni, carpe, anatre, quaglie, pernici ricoperte da una sottilissima foglia d’oro. A Venezia, nel 1561, in occasione di una festa in onore del principe di Bisignano pane e ostriche furono serviti ricoperti d’oro. In cucina era talmente diffuso che nella Padova cinquecentesca il consiglio cittadino decise di limitarne l’utilizzo, stabilendo che nei pranzi nuziali non si potessero servire più di due portate condite con il più prezioso dei metalli. In Inghilterra, alla corte di Elisabetta I, arance, melograni, datteri, fichi e persino gli acini d’uva venivano presentati ricoperti da polvere d’oro.
Rilanciato negli anni ’80 da Gualtiero Marchesi che ne appoggiava una foglia al centro del suo risotto alla milanese oggi è da considerarsi un prodotto sì di lusso, alla portata di tutti e valido per ogni occasione.